L’articolo di oggi è dedicato a Billie Holiday, una vera leggenda, icona di tutto quello che è stato il Jazz: genio, voglia di riscatto, trasgressione, sovvertimento delle regole.

Eleanora Fagan, in arte Billie Holiday, nasce a Filadelfia, il 7 aprile 1915. I genitori sono giovanissimi: la madre tredicenne, Sadie Fagan, è una ballerina di fila, il padre, Clarence Halliday in arte Holiday, ha sedici anni ed è un suonatore di banjo. La piccola Eleanora viene presto abbandonata dal padre e prende dalla madre il cognome Fagan, che cambierà quando comincerà la carriera di cantante a soli quindici anni, nei locali di Harlem. In omaggio all’attrice Billie Dove e Holiday dal “cognome d’arte” del padre, diventerà così Billie Holiday, una delle più grandi cantanti della storia della musica Jazz.

Billie Holiday incarna perfettamente la figura dell’artista maledetto, una vita difficile costellata da episodi di violenza, dipendenze da droghe e alcool, malattie causate dagli abusi di queste sostanze e una vita sentimentale a dir poco burrascosa.

I gravi problemi economici la costringono giovanissima a prostituirsi, viene arrestata per adescamento e rinchiusa in carcere; una volta liberata in stato di povertà assoluta riesce ad avere un’audizione come cantante al Log Cabin, un locale del quartiere newyorchese di Harlem. Ha una voce dal timbro particolarissimo e una capacità interpretativa straordinaria, viene subito assunta come cantante ed entraîneuse. Nel 1931 viene scoperta dal produttore John Hammond che le procura una registrazione con il clarinettista Benny Goodman. Viene ingaggiata dai migliori club fino ad arrivare al mitico Apollo Theater, tempio del jazz di New York, dove si esibiscono i musicisti più importanti del periodo. Nel 1935 con l’orchestra di Duke Ellington incide la colonna sonora del film Symphony in black e comincia a registrare  i primi importanti successi con il gruppo del pianista Teddy Wilson che comprende musicisti di prima grandezza come il trombettista Roy Eldridge e i sassofonisti Ben Webster e Lester Young, con cui instaurerà un rapporto di grande e tenera amicizia che durerà fino alla scomparsa di Young nel 1958 (in rete potete ascoltare When you’re smiling con l’accompagnamento del suo sax tenore e Fine and mellow con, oltre a Young, un ensemble di artisti di prima grandezza, composto da  Vic Dickenson, Gerry Mulligan, Coleman Hawkins, Roy Eldridge, Ben Webster, Mal Waldron). Nella seconda metà degli anni ’30 si esibisce e incide dischi con tantissime stelle del Jazz: Louis Armstrong, Artie Shaw, Count Basie, Jonny Hodges.

[…] Dotata di una vocalità che si distingue nettamente da quella dei suoi contemporanei, Billie Holiday seduce innanzitutto per la sensualità e l’espressività ma anche, a volte, per l’asprezza inquietante della voce, la spontaneità, la trasgressività. Con lei la voce diviene uno strumento vero e proprio, capace di infondere vita anche alle melodie più stucchevoli. Capace di trasformare radicalmente il materiale originario, arrivando persino a riscrivere la melodia per adattarla alle proprie intenzioni, la sua arte è il perfetto risultato di una certa irriverenza verso le convenzioni, insita nella natura stessa del Jazz.[…] (da Carles Philippe; Clergeat André; Comolli Jean-Louis, Dizionario del Jazz, Mondadori, Milano, 2008)

Nel 1939 incide il brano Strange fruit. Il testo parla delle terribili condizioni di vita delle persone di colore nel sud degli Stati Uniti, lo strano frutto è il corpo di un giovane di colore linciato e impaccato ai rami di un albero dai razzisti bianchi. Il disco diventa un vero e proprio hit nell’ambito della comunità afroamericana. Funzionari dell’FBI ordinano però alla Holiday di non eseguire più la canzone nei suoi concerti. Il rifiuto della cantante la porterà ad essere vittima delle attenzioni di Harry J. Anslinger, un agente del FBN (Federal Bureau of Narcotics), noto per le sue posizioni razziste, che cercherà in tutti i modi di sfruttare la dipendenza da stupefacenti di Billie per poterla “castigare”. La incriminerà per acquisto di sostanze stupefacenti, reato che costerà alla cantante 18 mesi di reclusione.

Nella prima metà degli Anni Quaranta al successo artistico si contrappone una vita privata tragica e disperata: una grande delusione sentimentale, a cui approda dopo un matrimonio tormentato, e la morte della madre la fanno precipitare nell’alcolismo e nella tossicodipendenza.

Nel 1946 con Louis Armstrong incide la musica per il film New Orleans, diretto da Arthur Lubin (in italia uscito con il titolo La città del Jazz) in cui appare anche nel ruolo di una cameriera. Do you know what it means to miss è uno dei brani che Billie interpreta nel film insieme ad Armstrong.

I problemi con droghe e alcolici la portano ancora ad avere guai con la legge e le provocano gravi problemi di salute che interesseranno anche la voce (come si può notare in questa esecuzione di I’m a fool to want you). Negli anni ‘50 collabora con tantissimi musicisti per registrazioni discografiche, esibizioni dal vivo e tournée negli States e in Europa. Nel 1958 passa da Milano e si esibisce al Teatro Smeraldo, dove si faceva prevalentemente avanspettacolo, davanti ad una platea che non sapeva chi fosse, che non conosceva il Jazz e che si aspettava tutt’altro. Un’umiliazione per Billie, che non riesce neanche a finire la scaletta delle canzoni in programma per le contestazioni del pubblico.

Alcuni appassionati di Jazz, presenti allo Smeraldo quella sera, affittano il piccolo teatro Gerolamo di piazza Beccaria e organizzano un altro concerto di Billie qualche giorno dopo. Tutti gli amanti di musica afroamericana milanesi (che allora gravitavano in modo particolare attorno al locale “Taverna Messicana”) partecipano decretando il grande successo dell’esibizione. Arrigo Polillo (fondatore della rivista Musica Jazz) in un suo scritto racconta quella serata con queste parole:

Quella sera le strutture del teatrino furono messe a dura prova dalla folla che lo riempì: eppure le balconate «a prova di bambino» [il Gerolamo ospitava prevalentemente spettacoli di marionette] ressero bene. Quanto a Billie, si impegnò a fondo, e diede uno splendido, commovente, recital. Il pubblico le tributò ovazioni trionfali. In quel teatrino così piccolo ciascuno aveva l’impressione di poterla abbracciare. E sembrava che volesse farlo.

Agli inizi del 1959 viene diagnosticata alla Holiday la cirrosi epatica. Il 17 luglio “Lady Day”, soprannome datole del grande amico Lester Young, muore in una camera d’ospedale a New York sorvegliata da un poliziotto.

Oltre a quelli già segnalati nel testo vi proponiamo anche due classici di Billie Holiday, che – insieme al resto del suo repertorio – l’hanno resa immortale:
Blue moon
The Man I Love

Buon ascolto!

 

Le altre signore del Jazz:
Bessie Smith
Ella Fitzgerald
Sarah Vaughan
Nina Simone

L’immagine in evidenza è un dettaglio tratto una foto di Herman Leonard